Un marketing per il Vangelo?!

 

Di Federico Anzini

 

 

Cercando di approfondire il tema delle modalità comunicative e gestionali messe in atto da organizzazioni religiose (associazioni e gruppi cattolici in particolare), curiosando qua e là sono capitato su un libro di Giorgio Fiorentini e Sergio Slavazza dal titolo quanto meno curioso che ha attirato la mia attenzione: “Chiesa come azienda non profit – gestione e marketing”.

E’ possibile parlare di strategie di marketing per annunciare la Verità. Quale nesso ci potrebbe mai essere tra una azienda e la Chiesa? Terreno piuttosto arduo da attraver­sare senza ferirsi i piedi e senza scuotere gli animi più pii e devoti. Il marketing è diventato, in questi anni di globalizzazione e spietata concorrenza, una scienza, con tutto il suo corredo di tecniche e strategie. Le aziende, anche quelle di piccole dimensioni, ne fanno sempre più uso, per una questione di sopravvivenza.

“La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d'ordine religioso” (Lumen Gentium n. 42). Questa affermazione,  della Costituzione sulla Chiesa e il mondo contemporaneo, a prima vista è in netto contrasto con le tecniche di mer­cato. Come si può comparare la vita della Chiesa con una organizzazione che pone a fondamento il massimo raggiungimento di beni materiali? Questi sono i quesiti che il libro di Fiorentini e Slavazza tenta di affrontare.

 

 

Due concetti chiave

 

Ai non addetti ai lavori le parole “marketing” e “non profit o terzo settore” potranno suonare strane, nonostante siano sempre più utilizzate. Chiariamo brevemente il loro significato.

1. Tutto inizia dalle ricerche di mercato. Esse hanno lo scopertine/copo di determinare e valutare il potenziale di un’azienda, facendo delle previsioni rispetto alla commercializzazione di un prodotto o all'offerta di un servizio. Queste permettono di definire le strategie di marketing e dei relativi piani operativi. In concreto significa determinare e valutare i punti di forza e di debolezza dell’azienda in rapporto agli obiettivi d’incremento e/o consolidamento della quota di mercato; valutare le possibili alternative in rapporto al conseguimento degli obiettivi prefissati; identificare le più opportune politiche di prodotto, prezzo, promozione e immagine aziendale; e non da ultimo individuare gli strumenti pubblicitari più idonei.

 

2. La Chiesa Cattolica può essere considerata un'organizzazione non profit “sui generis”, perché, nonostante la difficoltà evidente di incasellare un’entità così complessa, rispecchia alcune caratteristiche di base del terzo settore, così chiamato perché a cavallo tra il settore pubblico (lo Stato) e quello privato (le aziende commerciali):

Assenza di fini di lucro, di profitti e di utili distribuiti;

Gli aspetti etico‑valoriali sono centrali ed ispirano l'operato della Chiesa e la motivazioni dei suoi membri;

Ricorso al volontariato: non esiste alcuna forma di "contratto" tra la Chiesa e i suoi fedeli, tutti sono chiamati ad agire nella gratuità;

Fornitura di “servizi pubblici”: l’annuncio è universale, per tutti;

Indipendenza e autonomia gestionale

Risulta quindi metodologicamente corretto applicare anche alla Chiesa determinati strumenti di analisi propri del terzo settore almeno per quanto riguarda l'applicazione del marketing.

 

 

Marketing e comunicazione in ambito sociale e religioso

 

Lo scenario contemporaneo è caratterizzato da un crescente secolarismo. Questa situazione accentua enormemente il rischio di incomunicabilità tra l’istituzione-Chiesa e il mondo.

Il marketing applicato alla missione evangelizzatrice della Chiesa Cattolica non è un accostamento forzato, irriverente, o addirittura blasfemo, ma può essere un modo per rispondere alle sfide poste dai cambiamenti sociali e dalla rivoluzione comunicativa in atto.

“La questione posta oggi alla Chiesa non è quella di sapere se l'uomo della strada può ancora recepire un messaggio religioso, ma quella di trovare linguaggi di comunicazione migliori per ottenere il miglior impatto possibile del messaggio evangelico” (Giovanni Paolo II)

La coscienza dell'efficacia del messaggio evangelico dipende non solo dalla sua intrinseca forza e verità, ma anche dalla reale possibilità di essere percepito adeguatamente, mediante una “formula comunicativa” che sia in grado di attirare e coinvolgere l'interesse dell'interlocutore.

La Chiesa, avendo preso coscienza di essere in una “società di massa” e di doversi rivolgere al maggior numero di persone, può e deve logicamente “votarsi” all'impiego sistematico degli strumenti appropriati. Il Marketing religioso è un opportunità per adattarsi alle condizioni dei tempi, per trovare nuovi modi di comunicare e organizzarsi, per acquisire una nuova mentalità, per entrare in un'ottica strategica, per recuperare legittimità e fiducia. Ma può essere anche una tentazione, perché “non è sufficiente rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, ma occorre suscitare un nuovo ardore ed una tensione alla santità nei singoli componenti delle comunità cristiane” (Giovanni Paolo II).

 

 

Ostacoli alla diffusione del marketing

 

Vi sono attualmente molti problemi e resistenze alla diffusione di un approccio maggiormente imprenditoriale nell’affrontare l’evangelizzazione e la gestione di associazioni religiose.

Innanzitutto si percepisce un immagine negativa, in quanto il marketing è considerato strumento ad uso esclusivo delle imprese a scopertine/copo di lucro, legato alla promozione e alla vendita di beni meramente commerciali. Fiorentini fa invece notare che è opportuno considerare il marketing come l'uso di determinati strumenti che consentono ad una organizzazione di scambiare al meglio non solo prodotti e servizi, ma anche idee e valori, con il proprio “pubblico”. L'applicazione di una disciplina economica all'attività della Chiesa non è una tentazione legata alla bramosia di successo o di potere, ma un modo più efficace di portare il messaggio cristiano.

Un ulteriore impedimento sono la scarsità degli investimenti e l’inesperienza nella gestione. Le organizzazioni caritative e religiose dedicano scarsa attenzione e poche risorse all'attuazione delle loro strategie di marketing, magari affidandone la realizzazione a dipendenti già oberati o a volontari poco competenti, il che crea sprechi e conseguente accresciuto scetticismo per lo strumento.

Non da ultimo si è confrontati con grossi impedimenti di tipo ideologico, forse derivanti da una certa visione integralista della fede, per cui rimane una certa resistenza, un timore nel mischiare in modo dissacrante il sacro col profano.

 

 

Verso una Chiesa del silenzio?

 

L'avvento della comunicazione mediale ha cambiato e sta cambiando le coordinate della presenza della Chiesa nella società. Essa, come d'altronde ogni “contenuto” che diviene messaggio all'interno del sistema comunicativo in atto, viene percepita per come viene rappresentata più che per quello che realmente è. Il porsi in questo nuovo e caotico “spazio pubblico” diviene sempre più motivo di sconcerto e di disagio per la Chiesa.

Al giorno d'oggi, nella nostra società, “l'istituzione‑Chiesa” sembra trovarsi di fronte ad un dilemma comunicativo: ottenere ascolto ma snaturare il proprio messaggio evangelico, oppure conservare la propria originalità e specificità ma essere inascoltata.

Esiste una terza via? Può la Chiesa cattolica desiderare di rimanere vera comunicando per evangelizzare, e nel contempo ottenere ascolto nella società e nei mezzi di comunicazione moderni? Il marketing può essere la base per questa terza alternativa comunicazionale?

Il mandato missionario ricevuto dagli apostoli è chiaro: portate il Vangelo a “tutte le genti” fino “agli estremi confini della terra”. Questo, oggi, implica una capacità di organizzazione, dialogo e comunicazione maggiori, senza precedenti. La ricerca di nuove forze e di nuovi metodi per l’evangelizzazione, può essere vista non solo come imprescindibile necessità o mera tentazione. Scegliere il marketing, fra i mezzi possibili, può essere una decisione “profetica”, nel senso che rappresenta una lettura dei tempi, che la Chiesa deve saper rettamente interpretare.

L’esempio migliore a cui possiamo guardare, per imparare, è l’attuale Papa che nel corso del suo pontificato è riuscito a dialogare in modo nuovo e convincente con il mondo intero, utilizzando tutti i mezzi di comunicazione possibili e immaginabili.

Se è vero che la cultura dominante ha tutto l'interesse ad ingoiare la Chiesa nel vortice dell'informazione, anche nella Chiesa si rischia di perdere il treno perché si tenta di usare la cultura della comunicazione come se si stesse parlando dal pulpito. Dobbiamo cambiare mentalità, convertirci alla nuova cultura mass-mediatica, con la realistica presa d'atto che il mondo cambia e, o cambiamo con lui, o saremo fuori dal gioco.

 

 

Mercato, compratore e salvezza in Cristo

 

Giovanni Giudici, vicario generale dell’arcidiocesi di Milano, nella presentazione del libro sottolinea due aspetti importanti:

1. Che cosa la comunità cristiana pone sul “mercato”, e mette a disposi­zione del “compratore”? La Chiesa porge al possibile compratore la salvezza in Cristo. Nel linguaggio corrente si potrebbe dire: la proposta all'uomo d'oggi da parte della Chiesa è mostrare la possibilità di un «luogo» in cui vivere una vita pienamente umanizzata.

2. Quando riconosciamo che la Chiesa pone sul “mercato” questo tipo di proposta, si comprende pure una tesi interessante del libro: il mercato, una volta accettato dalla Chiesa, avrà un effetto sanante sulla comunità cristiana. Di fatto, all'interno di una società nella quale sono “acquistabili” vari prodotti che riguardano la proposta di salvezza, sarà premiato dall'acquirente quel prodotto, quella proposta che più compiutamente risponde alle esigenze di una autentica umanizzazione. Del resto è avvenuto così nella società pluralistica del tardo impero romano, dove sul “mercato” si trovava la dottrina di Ambrogio, il paganesimo e l'arianesimo, e inoltre il settario manicheismo. E passando tra queste “bancarelle” un uomo come Agostino, dopo dubbi e riflessioni, scelse il prodotto più sano e più completo, facendosi cattolico. […]

Anche oggi il coraggio di porsi con lealtà di fronte alle domande del possibile “compratore”, favorirà la chiarezza e la generosità del “venditore”. Un vantaggio per l'autenticità della comunità cristiana certamente ci sarà.

 

 

Cambiare la forma non il contenuto

 

Fernando Charrier, Vescovo di Alessandria e Presidente della Commissione Episcopertine/copale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, nella prefazione del libro fa alcune precisazioni importanti:

“E’ evidente che un servizio non efficiente, non reca quei frutti che dovrebbe; l'organizzazione è certamente un mezzo e non un fine, ciò non toglie che anche la comunità cristiana, possa e debba gio­varsi delle moderne scienze e delle relative tecniche dell'organizzazione. Non si intende, infatti, modificare il contenuto, ma solo la forma. […]

Forse possono fare ostacolo le parole «azienda», «gestione», «marketing», «prodotto», «prezzo», «mercato», «distribuzione», «personale», […]. Questo linguaggio, preso in se stesso, pare avere una sua incompatibilità con la missione ed anche l'organizzazione della Chiesa e, spe­cialmente, con il suo messaggio.

Si può, tuttavia, pensare ad un nuovo modo di esprimersi; e, specialmente, ad un nuovo modo di definire, nel concreto, le modalità del servizio della Chie­sa. Se si rende più comprensibile l’annuncio sia con le parole sia con le attività, ben venga ogni innovazione. […]

Non ci si aspetta tutto dalle tecniche; l'evangelizzazione è anche, e special­mente, opera dello Spirito del Signore che accompagna i missionari della verità evangelica lungo i secoli e fino ai confini del mondo.

Faccio mia l'espressione degli autori: “Le nuove prospettive di carattere operativo si fondano sulla considerazione che la Chiesa, così come ha fatto alla fine del Medio Evo con l’invenzione del catechismo in seguito all'apparizione della stampa, allo stesso modo oggi può ricercare nuove forme di evangelizzazio­ne legate alle trasformazioni comunicative odierne: attraverso le opere e le rela­zioni umane, è sempre la Salvezza nel Signore Gesù che ci viene offerta.”

 

 

Dialogo, fede e carità

 

Il Card. Giacomo Biffi, con questa breve riflessione, presa dal suo libro “La sposa chiacchierata”, ci aiuta ad affrontare criticamente il tema del «dialogo» tra credenti e non credenti.

“Va detto con chiarezza che, sulle cose che contano, non c'è alcuna possibilità di dialogo tra la fede e l'incredulità, considerate come atteggiamenti mentali e spirituali totalmente estranei tra loro e antitetici. Del resto, dall'incredulità come tale, intesa come piena negazione di ogni rapporto con Cristo, non abbiamo niente da prendere o da imparare.

Ma va anche detto che il non credente può farsi invece portavoce inconsapevole dello Spirito; nel qual caso noi dobbiamo metterci in ascolto. Questo non vuole ovviamente dire che tutto ciò che egli proferisce provenga «a Spiritu Sancto». Dallo Spirito Santo proviene soltanto ciò che è «verum»; vale a dire, ciò che è consonante col disegno del Padre e con il Vangelo di Cristo.

Si rende perciò necessario un atteggiamento vigile, che sappia accuratamente esaminare e vagliare. Ma tale vigilanza e tale discernimento devono essere esercitati dal credente anche su se stesso: sui suoi pensieri, sulle sue parole, sui suoi atti, perché non c'è nessuna garanzia che dal credente scaturisca soltanto ciò che è in coerenza con la sua fede e in sintonia con la sua «vita nuova».

Qualora dialogando ci imbattiamo in qualche consonanza con le posizioni del non credente, è bene verificare se per caso questo sia dovuto non tanto all'azione illuminante dello Spirito sul nostro interlocutore, quanto a qualche residuo di mentalità «mondana» dentro di noi.

Tutta la riflessione sul «dialogo» va dunque preservata da ogni faciloneria e da ogni leggerezza, perché la posta in gioco è altissima e la questione è seria: ci può essere il rischio, con una spensierata «apertura» scambiata per generosità, di non riconoscere più Gesù Cristo come l'unico Maestro di vita e l'unico Salvatore dell'uomo; come, d'altronde, ci può essere anche il rischio, in nome di una improvvida intransigenza dottrinale, di disimparare ad amare: ad amare tutti gli uomini senza eccezione, i quali per il fatto di essere stati creati, sono chiamati ad aver parte alla gioia divina e restano sempre immagini vive dell'unico Signore dell'universo.”